GRAZIE BRESCIA! Un racconto personale esclusivo della vincitrice Eva Grisoni.
Grazie Brescia!!!
La mia città mi accoglie con tanto affetto, pur spazzata da raffiche di vento fortissime e bagnata dalla. Credo che pochissime persone oggi sarebbero uscite per un allenamento.
Ma niente può fermare un atleta che abbia un pettorale attaccato: il pettorale è un impegno, la gara va onorata.
Correre la maratona di casa porta con sé un’aria di festa per tutto il tempo che la precede: tanti incontri, saluti, selfie, tutti sorridenti ci scambiamo “buona fortuna” e “in bocca al lupo”.
Mancano pochi minuti, siamo ai nastri di partenza. Ultimi saluti, poi sarà il momento del raccoglimento, dell’essere con se stessi: i primi km si testa un po’ il ritmo, si vede come va, si registrano le sensazioni. Poi solitamente si trova un gruppetto e un passo di crociera, ma oggi le regole sono totalmente stravolte da quel vento pazzo che se dal terzo km fino alla Fantasina ci asseconda, al giro di boa in zona industriale ci aspetta per un primo deciso schiaffo. Mi trovo inchiodata. So che ora, bene o male, i tratti così saranno molti fino a San Polo.
Non ho mai pensato a quanto (mentalmente) la rotonda del Museo Millemiglia sia lontana da Cellatica. Trovo un gruppetto, che sarà di riferimento per qualche kilometro, che poi si smembrerà dopo il breve ricongiungimento con la mezza maratona. Il cavalcavia è un’altra dura prova.
Dal settimo kilometro sono affiancata dalla moto che segue la prima donna. Questo mi tranquillizza, anche se tecnicamente non è e non deve essere di alcun aiuto.
Quando passo, non so in che tempo, sul tappeto al km 21 so benissimo di non essere a metà. Mentre corro fraziono sempre la gara in km o in tempi, e oggi so bene che la seconda metà sarà più dura e più lenta della prima. Pronti, lancia in resta e vento in faccia fino a Chiesanuova: breve rilassamento mentale perchè sono i quartieri dei miei bigiornalieri in estate, quando preparavo le ultra l’anno scorso e uscivo direttamente dal lavoro.
Cerco di rivivere le emozioni piacevoli, di quei tramonti estivi che andavo a cercare specchiati sulle Tre Torri. Via, di nuovo, contro i mulini a vento di via Lamarmora, che è in lieve discesa, ma oggi sembra la salita della Maddalena.
Km 30. Mancano i soliti 12 km dell’allenamento standard, quello della corsa libera a sensazione quando infilo le cuffie e ascolto la radio. Ripenso alla 100 km del Conero che ho corso il 17 febbraio: quando mancavano 12 km ne avevo già corsi 88 e mi apprestavo all’ultimo ristoro dove mi aspettava mio papà con qualche genere di conforto.
In questi ultimi km il conforto lo trovo in un maratoneta che da diversi km tiene un passo simile al mio. Ha una canotta nera con due ali d’angelo stilizzate in verde fluo sulla schiena: sarà il mio angelo. Mi supera in un momento in cui vorrei fermarmi, si mette davanti e mi sprona a non mollare. Dai, andiamo, lui davanti e io dietro, fino alla fine. Ogni tanto una gamba mi va a sbattere, portata dal vento, sull’altra. Ogni tanto una raffica improvvisa mi blocca.
Tutto passa, tutto scorre, bisogna solo accettare, stare lì cercando di tenere una fatica costante, che ti permetta di progredire quel tanto che è possibile.
Ed è così che arriva il sottopasso del Millemiglia, e finalmente, al km 38, la lieve salita è compensata dal vento a favore, anche se ci ha tolto parecchie forze.
Vedo Piazzale Arnaldo: passo il cartello (per terra, come quasi tutti gli altri), del km 41.
Via Trieste con la sua solita perfida salitina, ma siamo in centro, ormai è pieno di gente che incita, Sentoovunque echeggiare “Vai Evaaaaaa” e la gioia di essere, per la terza volta consecutiva, al termine della maratona della mia città, e come le altre due, potrò alzare le braccia al cielo con lo striscione in mano.
Al traguardo urlo “Grazie Brescia”, e c’è dentro tutto.
Accolta con clamore e affetto, come se avessi compiuto un’impresa, e poi abbracciata da Sandro,
Monica Casiraghi e Davide, il mi allenatore. Abbraccio tutti: Katia che ha disegnato la bellissima medaglia che ho al collo, Giorgio Cobelli, l’assessore Alessandro Cantoni.
La gioia si trasmette con gli abbracci, con i gesti di affetto. Per me la corsa, lo sport in generale, sono un modo per entrare in empatia con ciò che mi circonda e con le persone che incontro.
Solo dopo che ho abbracciato e salutato guardo l’orologio (nella foga non ho neanche guardato il tabellone sotto l’arco dell’arrivo!) e scopro il mio tempo: 2h58’59’’. Un po’ stupita: dal decimo km non ho più guardato niente, ho deciso che il tempo scorresse per conto suo, perchè non sarei stata in grado di controllarlo. Forse per questo in qualche modo mi ha reso il favore, come un atto di gentilezza, regalandomi un crono sotto le 3h.
EVA GRISONI